Mi sono sentito come quando morì mio zio.

Forse perché, fisicamente, mio zio mi ha sempre ricordato Pino Daniele.
Tra l’altro, l’orario è stato anche più o meno lo stesso.
2 e 30 più o meno: chissà com’è che non riuscivo a prendere sonno. Non era semplice insonnia, ma una specie di arteteca.

Nel letto, dal cellulare, iniziai a leggere tutta una serie di “è vera la notizia su Pino?”

Mi si blocca il respiro. Scendo dal letto, devo farmi una camomilla, ma tremo tanto che non riesco nemmeno a tenere il pentolino in mano. Mi cago anche un po’ sotto. Non è normale tremare così tanto. Sapete, sono un po’ tanto ipocondriaco. Alla fine vomito pure, un po’ per terra, un po’ nel cesso. Alla fine mi aiuta mia madre a farmi la camomilla. L’ho dovuta chiamare ché pensavo di svenire.

Ma continuai a tremare.
Piano piano trovavo le conferme, ma in tv, nessuno ancora ne aveva parlato.
Riguardavo il cellulare e la home di facebook si riempiva di canzoni e citazioni.
Pino è morto.

Pino Daniele l’ho conosciuto, più che altro vissuto, da lontano, come in un sogno.
Sono dell’88 e quel clima, quell’emotività, quell’energia, quel modo di sentirsi napoletani, li ho avuti sparati addosso in differita.
Persi pure la possibilità di vederlo a P.zza del Plebiscito quando suonò con Santana.
Avevo la compagnia, i tempi e i modi, ma anche una capa di merda.
E comunque resta lì, fermo, nella storia. Disponibile per tutti. Un motore di ricerca, un titolo e ti trovi pure le tablature.
I primi accordi, i primi riff che ho imparato sono i suoi. Con questo, non voglio dire che è stato il motivo per cui ho iniziato a fare quel che faccio. Cioè, forse, inconsciamente, sì, ma sarebbe troppo forzato. Però, Pino Daniele significa soprattuto la prima bestemmia, perché non mi veniva il riff iniziale di Je so Pazze, i primi calli alle dita e i primi dolori per fare il barrè su A me me piace ‘o blues.

“E sono volgare e so che nella vita suonerò” risuona come un monito, una morale, un obbligo.

“A tren’tanni nun puo capi’, ‘e canzone te fanno fesso. Vutta ‘ncuorp’ senza capì.
S’addiventa malamente e quacche vvota onesto.
Keep on movin’, sempre”.

Pino Daniele resta fermo nella storia, dentro la storia.
Come quando vedo i film di Troisi e proprio non riesco a credere che sia morto. Per te, per me, per tutti, Massimo è ancora oggi lo stesso di “Ricomincio da tre”, per esempio. Magro, alto, insicuro e spavaldo dietro ai suoi ricci.

Non era il Pulcinella di nessuno. Ha avuto il merito e le palle di essere Napoletano, senza dover fare il Napoletano. Ha avuto le palle di dirvi che Napoli è sì un sole, ma amaro, come ogni chiacchiericcio ingrato.
Abbiamo le canzoni, i suoi anni trascorsi a parlare di noi, del suo popolo.

Mettete un suo disco, aprite Youtube, prendete la chitarra, suonate, chiudete gli occhi e nun scassate ‘o cazzo.

Pino è morto.
Invece no.

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