Nel 2006 provai il test a medicina.

Non entrai perché tra me e il primo posto disponibile c’era una grande distanza.

Il punteggio non fu proprio brutto, considerando che non mi ero preparato, né poco, né abbastanza, e che mi ero incaponito a voler rispondere a tutte le domande.

In questi test, se non tenti nemmeno, fai meglio di chi azzarda e sbaglia.

Insomma, mi iscrissi a biologia con l’obiettivo di riprovarci l’anno seguente.

Finì che, mentre seguivo i corsi e studiavo per gli esami, iniziai a nutrire l’insonnia con così tanta letteratura che lasciai e mi iscrissi a lettere.
E quindi di medicina non ne capisco niente.

Non ne so più di qualsiasi altro ipocondriaco con in mano uno smartphone.

Quindi – repetita iuvant – non ne so niente.

E però credo nella scienza.

Da umanista credo in Stevino, Torricelli, Cartesio, Galilei, Copernico, Leibniz, ma anche in Mendel, Darwin, Pasteur, Watson, Curie e poi in Edison, Freud, Turing e in Einstein.

Da umanista credo nella scienza e nella verità cui può condurre.

E da umanista, credo nel metodo scientifico, nel suo essere meravigliosamente perfettibile.
Da umanista, so quello che so e i limiti della mia comprensione.

E no, non riesco a capire tutto.

Certe cose non mi appartengono e – ma questo dovrebbe essere per tutti – per lo più mi sento amico mancato di Mario e Saverio in “Non ci resta che piangere”.

So cos’è una lampadina, ma non saprei riprodurla.

Uso regolarmente un computer e uno smartphone, ma se mi chiedessero come costruirli, non ne saprei più di Agape Malatesta, uomo a caso pescato dal Medioevo.

Come quando, nel 2011, ci chiesero se volevamo o meno il nucleare.

Che potevo saperne io che, all’epoca, leggevo Kerouac che scriveva “Fanculo la Bomba?”.
Questo, ovviamente, non è un discorso apologetico a sfavore della democrazia e del diritto di voto, ma una sintesi, pessima tra l’altro, del problema di certe verità.

Ho studiato, sui libri di scuola, l’importanza dei vaccini, conosco più o meno la struttura elicoidale dell’acido deossiribonucleico e ne so come potrebbe saperne un medico della critica di De Benedetti o del pensiero di Morin.

Sapere e studiare sono due cose differenti.
E in entrambi i casi si vive lasciandosi camminare di fianco dal dubbio.

Non tutti possono sapere tutto.

Nemmeno quei giornalisti che salutano con giubilo, soddisfazione e ottimismo, le “punizioni esemplari” cui l’ordine dei medici starebbe pensando per i colleghi che hanno dubitato del Covid e che ancora oggi nutrono qualche sospetto sul vaccino.

Certo, in mezzo a chi dubita c’è una qualche leziosa partigianeria all’ignoranza e/o all’opportunismo politico economico che va, in qualche modo, monitorato, conosciuto, dialogicamente stanato.

Con intelligenza.

Ma la sicumera e la tracotanza di certi giornalai – che ormai sono più social del Papa e Ferragnez fusi con gli orecchini Potara dei Kaiohshin – generano giudizi inquisitori che nemmeno il rogo di Giordano Bruno spiegherebbe quanto hanno fatto certe frequentazioni dell’ignoranza.

Se la scienza dice qualcosa di veramente insuperabile è che non c’è nessuna certezza che non si possa raggiungere se non con lo studio matto e disperato.

Ed io ci credo che il mondo intero, forse anche qualche multinazionale farmaceutica bella pronta dietro all’angolo (e che ci vuoi fare?), come certi Mr Satan pronti a prendersi tutti i benefici di mazzate che nemmeno hanno mai visto col binocolo, o certi scribacchini che, toh, hanno il libro sulla pandemia bello e fatto nel cassetto della fantasia, abbia studiato mattamente e disperatamente, per farci uscire da questo naufragio.

Consapevole di un passato neanche tanto lontano di carattere facilmente infiammabile, incline alla superbia e capace di sputare in faccia ai maligni, resto umanista, protetto da celate di carta e dalla gentile certezza del dialogo.

Dell’informazione chiara e non faziosa.

La lotta al negazionista non la vinci tacciandolo di ignoranza, né punendolo.

E guarda che vi dico, nemmeno rendendo il vaccino obbligatorio.

Non serve a nulla se anche una buona fetta di medici e scienziati dubitano.

Alimenti in loro circospezione prima, paura poi.

E così, se non è capace di dialogare, di spiegare e di persuadere, se nemmeno negli anni ha alfabetizzato il pubblico al suo linguaggio, la scienza muore.

E con lei un po’ tutti quanti.

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