
Pecché l’ammore pe’ sempe
(Abcordis)
se paga cu ‘o tiempo ca saje regala’.
Fare un disco oggi per molti è un suicidio. C’è sempre qualcuno o qualcosa che vuole togliere all’analogico quell’aurea di bellezza che caratterizza certe opere d’arte. Mentre ancora fiere di libri e dischi continuano a costruire resistenze e presidii, questi sembrano continuamente risospinti verso un angolo di un iperuranio digitale.
Ho un titolo di studio stampato su copertina //
Ma non mi prende nessuno // Qua non è più come prima // Cerco me stesso, quindi un supporto che ormai nessuno può darmi
Caparezza – 709
E invece è proprio attraverso questa ostinazione che passano resistenza e dignità artistica.
Premessa l’importanza del lascito, della testimonianza del nostro passaggio sulla terra, quindi la necessità che l’opera esista concretamente, che possa essere sfogliata, aperta, girata, ascoltata, riascoltata, senza dare fiducia di eternità ad un server o a un’azienda di streaming qualsiasi (i cui numeri possono essere pompati in base a quanto sia rigonfio il portafogli) soprattutto per una band, il disco, quello vero, resta ancora l’unico mezzo per potersi presentare al mondo.
Il disco serve alla band emergente, per far girare il proprio nome sì, ma soprattutto è l’unico metodo concreto che ha per ritornare con le spese di registrazione, per continuare ad investire su stessi, con strumenti più nuovi, attrezzature migliori, studi più approfonditi, ché con i proventi dello streaming non riuscirebbe nemmeno a pagarsi un caffè.
Comprare un disco significa quindi sostenere l’artista, accompagnarlo nel suo investimento, è un gesto di fiducia spontaneo, ma soprattutto di lotta armata al digitale evanescente. All’ascoltatore, dunque, che spesso ascolta musica in viaggio, non tocca che pretendere che nelle proprie auto ci sia il lettore CD ché, mettendo altra carne a cuocere, a quanto pare, al contrario di quanto si possa pensare, il digitale inquina pure più dei vinili:
(https://www.lastampa.it/2019/04/21/tecnologia/limpatto-ambientale-dello-streaming-musicale-Kkx8AT1WRoSTnCrGthQmCL/pagina.html)
“Per la fine del giorno” è il primo lavoro discografico, interamente autoprodotto ed indipendente, degli Abcordis, band composta da Carmine Lauretta (voce e flauto traverso), i fratelli Pietro (chitarra) e Vincenzo (piano), Alessandro Mancino (basso) e Simone Amoruso (batteria).
Fin dalla copertina il gruppo, che ha curato in sintonia gli arrangiamenti, si pone metaforicamente sulla scia di un tramonto, con tre ombre simbolicamente affacciate a guardare il panorama, in attesa della nascita di un nuovo giorno o di stornellare di sera, liberi dalle fatiche del giorno. Analogia circadiana che si ritrova nella disposizione dei brani: da RevolutionOnAir, che testimonia una certa agitazione dei giovani, pronti al riscatto e quindi al risveglio, fino a Sera, che chiude il disco.
Con lo sguardo rivolto a una Napoli calda e stanca, abbracciata dal rosso della sera, i ragazzi si trascinano ciò che li ha culturalmente formati ma allo stesso tempo provano a raccontare una storia, la loro e quella di tutta una generazione. Una storia tutta volta al presente, tra rivoluzioni, piogge e battaglie giornaliere.
Nei testi, l’autore, Carmine Lauretta, gioca su una ripetizione di parole volta ad un rimando continuo tra le tracce. Per esempio, in Chiove, canta “Chiove e nun te sento cchiù”, richiamando, nel secondo “emistichio”, a quella che è forse la canzone più rappresentativa dell’Ep, Nun te sente cchiù, la storia di chi cerca ma non ha la forza ( e in fondo la voglia) di imparare dai propri errori, arrendendosi.
Al contrario di chi – in Tre Fratelli, che ripropone il mito della discesa degli Inferi – con testardaggine, cerca di combattere fino alla fine per salvare i propri fratelli, perduti e ritrovati.
Rivoluzioni iniziate, altre che si bagnano in un’imprecisa vacua stanchezza generazionale e che trovano pace, alla fine del giorno, in un bicchiere di vino rosso a Bellini, attraverso un ritmo che ci invita a ballare, il giusto il tempo di scaricare e riscattare un’altra giornata spesa a trovare un posto nel mondo.
Concludo rifacendomi a quanto scritto nell’introduzione:
Sosteniamo gli artisti emergenti. Affezioniamoci al loro percorso, seguiamoli nella loro crescita. Gli Abcordis hanno ancora molta strada da fare per arrivare ad una perfezione e ad un’identità ben consolidata, ma la strada è quella giusta, sono telentuosi, giovani e soprattutto dimostrano voglia di crescere. A noi tocca solo accompagnarli, crescere insieme a loro e pretendere il CD, sempre il CD, soltanto il CD. Così che al qui ed ora dell’aurea benjaminiana possa aggiungersi il per sempre.
Ad maiora.
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