Antonio che mi faceva assaggiare il limone. Antonio che rideva alle mie smorfie. Antonio al quale avevo messo degli aghi nell’accappatoio e nella saponetta del bidet perché volevo fare «scherzi a parte». Antonio che mi diede uno schiaffo, l’unico di tutta una vita, perché, d’improvviso, appena uscito al bagno, feci una mossa d’arti marziali sulla sua pancia. Nemmeno si era reso conto fossi io, il suo suo fu istinto, come quello di prendermi in braccio e scusarsi.Antonio che ti faceva passare tutti gli sfizi.Antonio che arrivava con i gelati per tutti.Antonio squarcione. Antonio buono. Antonio che mi tiene la mano per attraversare la strada. Antonio che mi insegna ad attraversare la strada. Antonio che, paziente, guarda la tv, mentre i nipoti giocano con un pallina di carta nel soggiorno, davanti a lui, privandogli di fatto di vedere la tv.Antonio che mi compra tutti i libri sui dinosauri della de Agostini, quelli che iniziavano con l’acquisto a 1 € e poi dovevi venderti un rene. Antonio comunista. Antonio che si è fatto tutto da solo. Antonio e il lavoro. Antonio è stato il suo lavoro.Antonio e il dopo guerra. Antonio che ha preso il diploma a 40 anni, con figli e responsabilità.Antonio e i suoi 4 bypass. Antonio e il suo cuore immenso. Buono e forte, nonostante tutto.Antonio in canottiera, basette lunghe, pelle abbronzata che prepara la zuppa di pesce, per la famiglia, per tutti i villeggianti.Antonio che ha guidato fino all’ultimo giorno. Antonio «comme staje uaglio’» senza dirti «è un po’ che non ti fai vedere».Antonio che ha dato vita al mio primo libro. Antonio che ha sostenuto il dischetto che teneva spesso in macchina. Antonio che fa il presepe. Antonio che perde il figlio. Antonio che perde la moglie. Antonio che vede il nipote sposarsi.Antonio che è sollevato nel vedermi sistemato.Antonio che diventa bisnonno.Antonio che odia latte e derivati, dà un morso al dolce di poppella, lo guarda, vede la ricotta bianca che gli fa salire il vomito, ma non ha il coraggio di far prendere collera al nipote che era venuto tutto contento con la guantiera.Antonio nato nobile. Antonio e i suoi mille lavori. Antonio e i suoi tic narrativi, «senonché» fulminei come montaggi di Tarantino, che ti tenevano attaccato a quelle storie dette e ridette mille volte, tra i denti, tra i sorrisi, tra le amnesie di certi dolori troppo grandi per non metterli comunque fuori, a uso improprio di pennivendoli impervi che credono di poter fare gli scrittori.Antonio e «vuje nun sito tifos’» e si arrabbiava se criticavamo il presidente. Antonio e la maglia è l’unica fede, quella che abbiamo stretto fino all’ultimo, fino alla fine. Antonio che mi ha affidato i suoi racconti perché io li trascrivessi. Non ce l’ho fatta in tempo e questo mi ammala l’anima.Antonio circondato sempre di gente. Antonio che faceva ridere. Antonio che «ta vuo’ fa fa’ una foto», «malafemmina», «vierno» e una voce spesso intonatissima. Antonio che non avrebbe meritato di dirci addio così, da solo, senza che qualcuno potesse portargli un ciao di consolazione. Per lui, per noi. Antonio che non sentiva bene ma capiva tutto. Antonio che è stato, è e sarà amore. Antonio che mi porterò dentro per sempre, e lo racconterò tutto, fino all’ultimo racconto, una, dieci, cento volte perché il gene dei Giordano è lì, negli occhi, nel profilo, riflessi nello specchio. In Amalia.Quanto fa male. Ciao nonno mio buonissimo.

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