Si parla spesso di come Napoli si sia trasformata in uno Zoo Safari nelle mani di turisti più intenti a portarsi a casa la curiosità “ueue” profumata di frittura che la particolarità di una Città-Stato-Culturale storica.
Il doppio nodo però è lo stesso che, socio-peda-antropologicamente, vede uno stradominio degli ascolti per un programma come Temptation Island su quelli di contenitori culturali come quelli di Alberto Angela.
È la domanda che fa l’offerta o come Città-Stato non riusciamo proprio a non vendere lo stereo-tipo?
Non è che, come con lo stereo-colmattone, al turista dovremmo provare a mostrarla vuota la scatola del luogo comune?
Perché qui le case crollano, la gente muore, lì invece c’è una Città ormai su “misura” del turista, ignaro della polveriera sotto i litri d’olio che consuma.
Perché chi prova a offrire altro c’è ma spesso lavora ai margini della grande rappresentazione circense e non è favorito dai mediatori culturali, semmai intenti a osannare scrittori e cantautori bravi a costruire ritornelli e doppioni.
Perché Napoli è dovunque: nelle serie tv, nei film, nella letteratura ma viene via via circoscritta in continui topoi come certe soap opere turche che vanno tanto nell’ultimo periodo.
Si parla di rinascita, ma a me dà più la sensazione che siamo dentro a una grossa riproposizione modaiola, come certe vecchie camicie hawaiane.
Credo.
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