L’atto mancato, la paraprassia coinvolge, nasce e si sviluppa dall’inconscio, volontà non cosciente di fare o non fare una azione ma, aggiungerei, di pensare a quanto non si dovrebbe.

Non per male interpretare o, addirittura “sporcare” il fenomeno per benino messo a punto da Freud, mi piace pensare e raccontare, dapprima, non gli atti mancati ma gli atti realizzati dal Professore Francesco Amoruso, docente di italiano presso il nostro celeberrimo Istituto. Ogni atto, azione rispecchia la idiomatica personalità e racconta anche la propria professionalità. Certo, un uomo, come Pirandello ci insegna, ha sfumature diverse che sono esibite nelle occorrenze diverse che la vita ci chiede di sfoggiare. Francesco Amoruso, scrittore, vincitore di premi importanti è anche un docente e, sotto i nostri occhi, dinanzi agli occhi dei suoi discenti sfoggia una delle sfumature più rutilanti.

Prima fra tutte è la “pietas”, intesa come devozione, rispetto, giustizia e senso del dovere. Tant’è la “visibilità del visibile”, poiché non invisibile ai nostri occhi, agli occhi anche dei genitori e degli alunni, non ergendomi a confutatrice del pensiero di Foucault, mio amore grande.

Eppure, nel desiderio di fare letteratura, di letteraturizzare corpi che, attraverso l’auto oggettivazione lasciano dialogare con sé stessi, al fine di mettere realmente ordine al caos – aggiungerei pirandelliano – l’Io, più che districarsi a cercare la soggettività nella “finzione”, cerca, nel caso della opera in questione, la soggettività e la verità dove la nozione di soggetto, è stata elaborata in base ad una formula che è la celebre prescrizione delfica dello “gnoti seauton”. Insomma, per giungere alla “epimèleia heautou”, la “cura sui” bisogna (la cura di sé) necessariamente passare per lo “gnoti seauton” (conosci te stesso)? E perché questo lavorio? Presto è detto: solo chi ha una potente conoscenza di sé e dei suoi mezzi, solo chi ha cura di se stesso può realizzare atti che, spacciandosi per mancati divengono realizzati, tra una incessante danza tra fenomeno e noumeno.

Tre gli atti scritti: “Pezzenti sagliuti” – “Attanti al lupo” ed “Anima mia”.

Nella spasmodica ricerca dell’autore della verità, richiesta da me e da Foucault, i tre atti descritti da Amoruso e riconosciuti dalla critica del Premio Troisi, sono invasi costantemente dalla “ironia” di pirandelliana memoria di cui l’autore, evidentemente, si è cibato a lungo durante il ludus tra ciò che sembra e ciò che è reale, come in “Anima mia”, iter in cui pensavo sbucasse, d’improvviso Caronte che gridava alle “anime prave” di non isperar mai veder lo cielo” ed invece, nel capire che si trattasse di “ANM”, si intuisce il genio, si sente la brezza del talento, si socchiudono gli occhi e si sorride per il piacere.

Non pago, l’Amoruso coinvolge i lettori/spettatori – nell’atto “pezzenti sagliuti”- in un battibecco tra due coniugi. Nulla di strano, parrebbe, se non si trattasse di una famiglia vissuta nel 27 a. C. che, usando epiteti moderni appartenenti al nostro vernacolo come “ammò, ciuciù”, affatto consci della variazione della lingua, quasi sprezzanti di tale questione secolare e, per questo, ilari, cercano, in modo maldestro, di corrompere la memoria, modificare la storia. È qui che subentra la sferzata dell’autore che, tra il serio ed il faceto pretende, dopo averla stimolata, una riflessione seria, cui si giunge tra un sorriso ed un lazzo. Ma si sa, l’inaspettato, non è, di certo, la porta in faccia che più scuote? 

E sì, si rimane scossi ad immaginare icasticamente – in “Attanti al lupo”- uno scrittore piegato all’imbocco di una tana mentre parla ad un lupo che, pessimo attore, ha lasciato che il suo istinto valicasse e sprezzasse il buon senso per assecondare il suo istinto perché si sa, l’istinto frega i lupi e pure gli uomini e, come direbbero i coniugi Proculo di “Pezzenti sagliuti” “chi nasce tondo, non può morire quadrato”. Ma la quadratura del cerchio, alla fine di ogni atto, nell’opera dell’Amoruso c’è sempre.

Nell’epilogo, come un fulmen in clausola si rivela la realtà, cui si giunge, sorridendo, tra una verità amara ed una dolce, mentre ci si compiace di uno scritto pregno di significato si annuisce sentendo di aver capito che in questo che io sento come un capolavoro, vi sono le polveri di un autore che della sua vita ha fatto una ricerca letteraria, filologica, culturale ma soprattutto umana.

Emma Armentano si è laureata presso l’Università Federico II in lettere classiche col massimo dei voti con una tesi in filologia classica. Insegnante di greco e latino e preside dell’Istituto Pontano, ha pubblicato con Tullio Pironti e con la postfazione del filosofo Francesco Adorno nel 2006 un libro di prose, poesie e racconti, vincitori di premi letterari.

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