Amalia ha 2 anni e mezzo. Ed era esattamente da 2 anni e mezzo che non andavo al cinema.
Ho fortemente voluto un’uscita didattica al cinema proprio per questo.
Abbiamo visto “Io, capitano” di Garrone.
Un film bello, lineare, forse non il migliore di Garrone ma che in-segue una piacevole narrazione favolistica, in cui l’eroe/adolescente che, (pur) contravvenendo alle regole familiari, alle raccomandazioni e agli istinti primordiali della paura verso l’ignoto, si getta nelle peripezie e dalle quali riemerge vittorioso.
Nonostante il deserto.
Nonostante le torture.
Nonostante la crudeltà dell’uomo.
Nonostante il mare aperto.
La tradizione delle favole europee, proprio passando attraverso la violenza di lupi, orchi e dispettosi di ogni sorta, offre al pubblico quasi sempre la rassicurazione del lieto fine.
Garrone non lo disattende, facendo, di un film denuncia, una favola politica.
Politica perché ha a che fare con il cittadino, quello del mondo, quello che non può guardare ai confini come fossero recinti di un condominio; come se governare significasse amministrare gli spazi, nemmeno fossimo condòmini e non umani figli dello stesso mondo.
Tutta la prima parte, ma in generale, ogni volta che l’obiettivo è puntato sul protagonista (seguito spesso di spalle, in piano sequenza, di fianco, per farci sentire parte del suo tutto) il suo volto/corpo è incorniciato da porte, finestre, teli. Il mondo va stretto a chi campa di speranze.
[E la politica è questa: scegliere da che parte dell’umanità stare. Se tra chi vende falsità, demagogie e odio; o tra chi, prima dei se, dei ma e dei però, del sé, del mai e del (faccio questo) per, stende una mano. Tutto il resto non è politica, è amministrazione condominiale. Ragioneria].
Favola, dicevo. Perché Garrone ci illude: alla fine del viaggio sono tutti vivi. Il mare non si bagna di lacrime né di sangue. Ecco perché il Cinema e la Letteratura sono migliori dell’umanità.
Perché possono esistere Capitani capaci di dare salvezza.
Basta credere alle favole.
Comments are closed