Ho finalmente recuperato Inside out 2.
Considerazioni sparse: la scena in cui Riley ha un attacco di panico credo sia l’aspetto meno interessante.
Ho apprezzato molto i dettagli: per esempio, ricordo esattamente quando ho dovuto disfarmi di una maglia cui ero molto affezionato: ricordo esattamente quando ho smesso di essere bambino per provare a vestire i panni – larghissimi – dell’adolescenza, cercando una strada per farmi accettare da quelli più grandi o da quelli che ritenevo fossero da rispettare.
E ricordo la tristezza, il freddo della ringhiera del cancello giù casa, le scale che portavano al secondo piano della scuola, lo strofinio dell’apparecchio mobile sotto al palato, l’odore di cloro e l’accappatoio bagnato.
E, legata a questo fastidio sordo per i cambiamenti bruschi, è la nostalgia: una vecchietta, vestaglia e tazzina di tè, che sbaglia le entrate in scena, i tempi e, nonostante le altre emozioni la spingano via, ché non è ancora tempo di guardarsi malinconicamente indietro, comunque bussa alla porta, varca lo spazio della vita, della gioventù, perché sa, o meglio sente, tutto il tempo che scorre.
Gioia & co. fanno finta di niente, oppure ovattano, inconsapevoli, caotici, pieni di vita, ma dietro alla porta, pacata, saggia, c’è sempre lei. Che poi è l’anticamera della vita che scorre, che si perde, che è inafferrabile.
Mi è piaciuto molto, ma potrei eccedere nelle libertà interpretative, che Il senso di sé sia stato simbolicamente costruito in modo che assomigliasse alla rappresentazione dell’atomo. 
Tutto il nostro io orbita intorno a grovigli di convinzioni dentro cui cresciamo, innalzando bias, paradigmi, angoli/paravento che, senza saperlo, di clinamen in clinamen, più che difenderci ci rendono fragili.
E diventano trofei/piedistalli di cui lucidiamo tutto, perfino le ammaccature.
E mi sono riconosciuto, non solo nel tentativo maniacale di prevedere il futuro, estinguendo la gioia di godermi il presente, ma anche come l’ansia arrivi spesso a caratterizzarmi: per la paura di non essere mai abbastanza, di non meritarmi mai nulla, di essere giudicato dagli altri, di non essere una brava persona.
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