Accade che tre amici, tre artisti, tre cantautori, tre che mastereano, come si dice dalle mie parti, in ogni scrigno d’arte, tornino insieme, dopo dieci anni, dopo la felice esperienza di Isole Minori Settime e un periodo incalcolato di pausa in cui ognuno ha coltivato il suo scrigno in autonomia, con progetti da solisti enormi, importanti, tra premi e palchi seri (se questo vi occorre come accettazione univoca di quanto vi sto raccomandando), con la conferma per me, ma per tutti spero, che sono talenti puri, da coccolare, enormi, evidenti, cui voler bene a prescindere, al punto che, verso loro tre, Enzo Colursi, in arte LUK, Lorenzo Campese e Alessandro Freschi, pur non avendoci condiviso più di un mezzo caffè, come dico spesso, né al massimo un quarto di attraversata di mare in questo oceano immenso che è la musica, provo un amore intenso, infantile, da amichetto delle elementari che ti tiene la mano mentre fuori il bullo della scuola vuole minacciarti col compasso.
Dicevo, dopo dieci anni tornano con un nuovo progetto, Diez, e io li ho ascoltati pochi secondi fa e ora sono solo, nel soggiorno, triste ma di una tristezza che solo certe armonie sanno “d’arte”.
E lo fanno con un brano tenace, come certi impasti, ma pieni d’aria, lievitati quanto basta, che poi a portafoglio entrano giusto in gola, sullo stomaco, dentro a certe emozioni pulite, genuine, che sanno di taralli di Castellammare, come quando la nonna ti chiamava e ti dava zitto zitto le Rossana, e tu prima te la succhiavi, poi davi il morso poco prima che si sciogliesse definitivamente, ché tu non sei fatto per l’attesa e così ecco la crema e piangevi col bordo della carta rossa a fischiare felice tra i denti.
E ora che te ne accorgi hai 36 anni e sei nostalgico ma innamorato sempre.
“A Napoli piove sempre e quando parli non si sente niente”.
Di cosa parla il brano? Di stagnazioni, di legami, di comunicazione, è una metacanzone che è quindi come aver voluto raccontare la vita, come fanno i breviari alle Sacre Scritture, ché si passa sempre attraverso il senso delle cose, attraverso le ombre di come ci appaiono divino e carnalità, tra un accordo maggiore e una quarta nota senza colore.
Fatevi un regalo, anzi – réclame anni 80, come rEstate a Pollena o scegli tu il comune – fatevene ne Diez: ascoltate il brano.
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