
Di Enzo Colursi ho già parlato tempo fa, non molto tempo fa, quando vi ho racconto la storia delle Isole Minori Settime, meraviglioso arcipelago cantautorale composto, oltre che dallo stesso Enzo, da Lorenzo Campese e Alessandro Freschi.
Ora, il Colursi ha dato vita e voce a questo Luk, elettronico e digitale songwriter, che, a dirla tutta, a mio modesto avviso, non è che una pura e semplice maschera. O uno scudo, fate voi.
Dietro, a manipolarne muscoli e rughe, le articolazioni di un’anima in grado di restare coerente alla poesia, alla bellezza, a se stesso. Forse, in questo vestito ha trovato linfa, quella migliore, e con questo nuovo paio di scarpe ha capito dov’è giusto che vadano le sue orme, le sue impronte digitali.
Ha cambiato solo “Luk”, l’anima è comunque lì.
Di Enzo conservo gelosamente il suo primo Ep e alcune parole che tengo care per me quando ho bisogno di ri-ascoltarne di belle.
Vi ho allegato il testo in basso, è importante, perché non posso stare qui a farvene l’analisi, parola per parola, ma è necessario che voi capiate che a Napoli si scrive bene, anche
In equilibrio tra il giusto e ciò che non si può dire ché è facile fare la morale, sospeso su quel solito filo intrecciato con cui il narratore del nostro secolo ha da bisticciare se vuole essere vero, sincero e bello, nonostante il troppo chiacchiericcio che viene dalla strada del mercato del paese, senza ascoltare il volgare vagito di un mercato ancora immaturo, Enzo ha scritto un testo sincero e “lontano dalla puzza degli inganni”.
Enzo è bravo, di quella bravura che quasi hai vergogna a dire che percorri la sua stessa strada. E ammetto di provare invidia, ma non sarebbe la prima volta: di fronte al bello disarmante, reagisco come se avessi dovuto scrivere io quel testo, e non per strapparlo al suo più degno creatore ma perché, del bello, vorrei esserne sempre dignatario.
Toglierei via il nome di Van Gogh per apporre il mio su tutte le sue tele; inserirei la mia firma tra gli autori di Black Mirror; rimpaginerei tutte le copertine dei libri che più mi hanno lasciato la stessa emozione: sarebbero a me attribuiti “Chiedi alla Polvere”, “Addio alle Armi”, “Tenera è la notte”, “Storia di una Capinera”, “I ragazzi della via Pal”, tutti i racconti di Salinger, Basile, Marotta e potrei continuare per altre duemila miliardi di parole. Vorrei potermi girare in metro e dire al mio vicino che sono stato io ad aver inventato la pizza, il casatiello, la pasta col pesto e il basilico, Dio, come ti invidio per aver creato il basilico!
Rischio la pena capitale, l’invidia è uno dei sette, e per questo sconto la pena e mi purifico diffondendo l’origine dei miei dolci tormenti, il bello, quello assoluto, quello per cui non servono parole ché sono superflue, inutili ma che generano racconto, meraviglia, ascolto, condivisione, voglia di abusarne.
Abbiate invidia, rischiate l’inferno con me, purché la usiate per inseguire, per correre, soprattutto per trovarvi ché, rivoltandone indebitamente il senso,
“l’ossessione in fondo è solo un altro modo di pensare”.
E dietro all’ossessione, in mezzo alle belle parole, su di un prato, sotto le lenzuola, in una pizzeria, potreste trovare il senso di ogni gentilezza e l’origine della quiete.
Nonostante ogni sana inquietudine.
Bravo Luk,
sul serio.
Il videoclip è di Alessandro Freschi, un altro che non mi lascia dormire sereno.
Non è il momento
Non vedi quanto margine che resta?
Non vedi quante briciole che ho in tasca?
Non vedi tanto bene
Ed io non sono ancora da buttare
Le minorenni sempre più carine
Il sudoku d’estate
Il tuo talento migliore
E si direbbe che insultarti non è buona educazione
Che le tue forme sono causa del disordine sociale
Dei miei problemi per dormire
Il tuo buonsenso andato a male
E si direbbe che ogni tanto le mie scuse sono buone
Che l’ossessione in fondo è solo un altro modo di pensare
Che le mie forze siano vere
Che la tua faccia sia un errore.
Passare sotto casa non conviene
Finisco sempre col sentirmi dire che hai bisogno di tempo per pensare
La mamma del mio amico mi vuol bene
Di notte sfiora sempre per scoprire
Il mio lato peggiore
Il mio istinto animale
E se cavassi quei tuoi occhi non sapresti cosa dire
Dei tuoi sogni irrinunciabili di morte culturale
I tuoi giorni da finire
I tuoi fiori da inventare
E se cavassi quei tuoi occhi forse non potrai vedere
Le incredibili tragedie del disastro nucleare
Le mie guerre in divenire
Il mio amore criminale
Ti sparerò con precisione da ingegnere
Ti sparerò come pretesto per brindare
Avrei dovuto dedicarti stelle di cartone
Rubarti le risate di ogni finto carnevale
Oppure un cazzo rosso fuoco disegnato sopra al muro
Perpendicolare alle tue guance tristi come il mare
Che arrossiscono per sbaglio
Arrossiscono per niente
Arrossiscono per ogni mia risposta disarmante
O regalarti un topo morto per i tuoi trecento anni
Troppo poco divertenti
Troppo simili ai miei sbagli
Avrei dovuto scrivere bestemmie col tuo nome
Scoprire tutti i sintomi per farti vergognare
Dei tuoi subdoli, frenetici discorsi inconcludenti
Della puzza dei tuoi inganni
La mia fossa di serpenti
I giardini comunali
La politica vincente
Il tuo terrore a dirmi: “non sei niente di importante”
Vuoi tu prendere per sposo ogni tuo prossimo imbecille
Che non deve dissentire
Che non deve domandare
Ti sparerò così per caso tra migliaia di persone
Che con un buco sulla fronte sembreresti originale
Ci faresti un figurone
Un chiaro esempio da imitare
Ti sparerò perché ho deciso che non posso più morire
Perché poi sostanzialmente non ho altro a cui pensare
La tua smania di cadere
La tua bocca da evitare
Ti sparerò e non mi indurre in tentazione
Ti sparerò, non è il momento di scherzare
Non è il momento di scherzare
Non è il momento. se non si parla di Napoli, anche se non lo si fa con la lingua di Napoli.
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