
Le sigarette, la droga, il cibo, la masturbazione, una corsa, una birra, due birre, tre birre, un pianto, un libro di Bruno Vespa.
Tante sono le terapie possibili per debellare – quotidianamante – la malattia più atroce dei nostri tempi: la pucundria.
E chi è napoletano lo sa:
la pucundria, come diceva Pino Daniele, può sbatterti ogni minuto in petto, arriva quando meno te ne accorgi, all’improvviso, pure mentre stai prendendo un caffè da solo, pure mentre stai guardandoti la TV per i cazzi tuoi; e ti piglia proprio quando sei più stanco, distratto, quando sei più debole, indifeso e senti che ti manca qualcosa, forse qualcuno.
Un desiderio recondito, una tristezza ancestrale. E chi lo sa.
Può significare tutto, può significare niente, ma in linea generale, la puncundria è una specie di catalogo astratto di aggregati negativi.
Un sentimento che ti toglie la voglia di fare tutto.
Però – dicevo – ci sono delle terapie.
Ognuno ne ha una.
La mia? Mettermi al computer, aprire Youtube e farmi un’overdose di Massimo Troisi.
Film, interviste, sketch. Tutto.
Il mio preferito è “Che ora è”, di Ettore Scola e con Marcello Mastroianni.
Per il tema – il rapporto zigrinato tra un padre e un figlio – per la pacatezza della recitazione: qui, Troisi è Troisi, ma senza fare il Troisi.
Una terapia contro la pucundria, ma anche contro certe convinzioni.
A volte, mi manca come fosse un amico mio a mancarmi. Eppure, l’ho conosciuto postumo.
Il 1994, quando morì, tenevo sei anni. Chi cazzo fosse Massimo Troisi non lo sapevo mica. Nemmeno mi ricordo come e quando arrivò la notizia. Papà mi dice sempre fu come se a morire fosse stato uno di famiglia.
Tipo come con Pino Daniele. Già, deve essere andata proprio così.
Lo amo ché, quando finalmente la pucundira mi passa e va a nascondersi di nuovo, a riposo, nelle intercapedini dei nervi più insicuri, mi sembra di svegliarmi come in un sogno e penso sia strano non avere la possibilità di conoscerlo e dirgli grazie.
Almeno, non su questa terra, non in mezzo a queste onde gravitazionali, non in questo universo.
Amo il suo linguaggio afasico, la balbuzie, l’incespicarsi su ogni singola parola, che è l’incertezza dell’anima, l’insicurezza di un uomo e dell’uomo che si fa parola; e anche l’improvvisazione, l’importanza delle pause, perfettamente in linea con i suoi sussulti del cuore; amo la sfacciataggine, l’espressività, il riso, il cinismo, quando ti dà un po’ l’uno e un po’ l’altro nello stesso sorriso, con l’acredine che ti esce fuori, a poco a poco, come quando l’ultima mandorla che ti porti alla bocca è amara, e ti viene dentro la malinconia del dolce, e lanci le peggiori bestemmie; amo come riesce a scandire l’amore e le relazioni umane fin dentro il particolare, oltre le maschere, gli schemi e le pose; amo la sua napoletanità senza pretese, senza folklore, senza spaghetti e mandolini nascosti nelle pieghe dei pantaloni, sulle spalle, nelle tasche.
Deve essere questo il motivo per cui lo amo. Soprattutto.
A volte, ho la sensazione che ancora pochi sono quelli che ne hanno imparato bene la lezione, la sua e quella di Pino eh: orgogliosi di essere napoletani, ostentarlo anche, ma andando oltre, molto oltre.
Tiene la forma, l’uso del dialetto fino agli estremi – “Sono loro a doversi sforzare a capirmi” -, ma stravolge i contenuti: “un napoletano non può viaggiare e basta senza essere un emigrante “?
Come nel video qui sotto: con ironia, un po’ di cinico sarcasmo, Troisi ci mette un niente a distruggere tutti i cliché: per chi ce li impone e per chi se li impone addosso.
Oggi avrebbe 66 anni ed uno come lui, in questi giorni caotici, tristi, afflitti da una lunga e inconsolabile stagione di pucundria di stato, chissà cosa avrebbe detto, chissà cosa avrebbe fatto.
Chissà come l’avrebbe detto e fatto.
A volte me lo domando, a volte no, boh, ad ogni modo è inutile pensarci.
Lui è lì: scolpito nella storia, pronto ad insegnarvi com’è che si sorride.
Pigliatavillo, imparatelo a memoria, studiatelo, non avete scuse.
* Per chi se lo fosse chiesto: prendere un libro di Bruno Vespa cura eccome dalla pucundria. Come?
Voi lo prendete e poi lo buttate nella spazzatura. Fatto? Ecco, non vi sentite meglio?
Comments are closed