Bella Baxter è madre e figlia. È il dottor Frankenstein e, contemporaneamente, il mostro.
È la hybris di sapere che alla fine arriva alla conoscenza di sé, ma solo dopo aver fatto pratica del mondo. Del suo bene e del suo male: e cioè sesso e morte.
E noi vediamo i suoi esperimenti dentro uno sguardo fish-eye. Perché Poor Things di Lanthimos, benché in un altromondo distopico baroccheggiante, è un film naturalistico che segue le regole zoliane del romanzo sperimentale per cui si parte da un’ipotesi, la si stimola, con agenti e patogeni, per vedere come reagiscano le creature sottoesperimento: ebbene, cosa accadrebbe se, nel corpo di una donna incinta suicîda, impiantassi il cervello del suo feto ancora in vita?
Straniante, ma ancora più disturbante di quanto non lo intendessero i russi, a vincere, su esperimenti e gabbie è il superamento della morale comune

A proposito di gabbie, il cinema, ma l’arte in genere, è relazione tra forme e colori. E il visivo costruibuisce a costruire una storia nella storia e a raccontarla meglio: fin dai primi frame, sedie di vimini, inquadrature strette e pareti del salone sembrano sbarre di una gabbia intorno a Bella e al suo creatore nomen omen Godwin.
E, infatti, entrambi sono rinchiusi, lei dal padre putativo, lui dalle sue stesse convinzioni. Arrivano entrambi, alla fine, senza cedere con la rivelazione del finale, a liberarsi dalle proprie catene, a conquistarsi spazi aperti, diciamo eterni per Godwin, senza i confini della carne.

Una riscrittura di Pinocchio e Frankenstein, ma soprattutto di Edipo ché, per dare un colpo alla botte e uno al cerchio, bisogna fare i conti col proprio padre.

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