Benedetta Pilato ha 19 anni e un palmares importante.
Alle Olimpiadi arriva 4a, sfiorando il terzo posto per un centesimo di scarto. Ha stupito la sua intervista post gara: sorridente e comunque felice ha dichiarato “questo è il giorno più bello della mia vita”.
Chiunque l’avrebbe abbracciata, se non altro per dirle grazie. E poi anche per dirle che è stata tanto brava.
Non i giornalisti e gli ex sportivi italiani che ne hanno parlato come fosse uscita da un manicomio e non da una vasca di nuoto al termine di una gara importante.
Quasi le hanno dato della matta, incapace di ammettere di esserci rimasta male.
Ora, non so cosa abbia avuto davvero nel cuore Benedetta, il suo sorriso sembra sincero, ma so quanto possa essere piccolo il cervello di chi non comprende quanto costi fatica la sanità mentale, soprattutto quando intorno a te, anche quando non lo hai scelto, è una lotta continua per la sopravvivenza… che nemmeno nella savana.
È una gara a scuola, all’università, con l’elogio al laureato centometrista ventenne, nella musica, nell’arte, costruendo un’idea del successo con asticelle sempre più alte, sempre più irraggiungibili, e che dànno assuefazione senza appagare mai.
Benedetta, invece, ha 19 anni, una vita da atleta già importante da raccontare, un quarto posto alle Olimpiadi, un lungo percorso davanti a sé, e la divina consapevolezza che conta sempre il percorso e non la meta.
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