Di questi tempi non so cosa debba fare l’artista.
Cioè, lo so, ma nel mezzo del caos dei media le parole si perdono e le canzoni sembrano cannoni a salve, tra ritornelli che devono ripescare tarattata del passato.
I libri a leggerli sono solo quelli che poi ci fanno i post belli e i critici vecchi coi calli nel cuore.
Ripassavo una lezione di Ungaretti e capivo la difficoltà di dover mettere fuori, a favore di tutti, una qualche verità che alla fine si disperde ancora nei talk show che toccano il polso, spostano un po’ più in là l’opinione, rimestano gli umori in modo da lasciare addosso l’abitudine, più che non lo schifo.
Non è resa ma rassegnazione.
Montale scrisse che sarebbe stato troppo chiedergli voci, idee, opinioni. Avrebbe potuto dire al massimo, che è già un trionfo, cosa non si è, cosa non si vuole essere.
E nemmeno sono convinto. Perché qualche scelta da animale che deve sopravvivere la facciamo tutti, prima o poi (cosa che fino a qualche mese fa, non avrei nemmeno mai pensato come una possibilità possibile) e alla fine la deriva va bene.
So solo cosa capita quando guardo Amalia.
Inesauribile amore impotente.
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