Benigni ha avuto un primo chiaro cambiamento con “La Vita è Bella” per poi definitivamente convertirsi alla democrazia cristiana col presunto incontro col “divino”.
Dai lunghi monologhi anti-berlusconi (quelli più recenti che erano già retorici accontentini a noi orfani di Luttazzi e simili, sempre più ripetitivi e privi di quella lingua irsuta, elettrica e acidognola che aveva caratterizzato il Benigni dei primi anni 80-90) alle più recenti comparsate, più che un pompiere in pensione, in giro a sorridere e e leggere passi della Divina Commedia agli incendiari più glabri (insomma, da Pinocchio a Geppetto), Benigni sembra un vecchio nonnetto di cui devi sopportare la solita storia che, tutto sommato, ascolti pure con piacere, perché almeno ti fa sorridere.
Pure perché c’è un barlume di fuoco nella voce che (si) tiene su.
Ho letto più commenti che prendono in giro le parole dedicate alla moglie, attaccata perché – dite – non sa recitare, quando bisognerebbe stare dentro a una vita di tenere parole con cui l’ha sopraelevata, mettendosela di fianco.Una paraculata? Può darsi, ma dare merito a chi ha avuto fiducia, ha sopportato, ha aiutato a crescere, e metterselo di fianco, vale una vita intera di porte in faccia.«La mia attrice preferita».Sicuramente Benigni sa delle critiche e se l’è messa di fianco, anche più su, fuori dalla facileria secondo cui “dietro al grande uomo c’è una grande donna”.
L’ha innalzata a figura di maestra e guida, prima ancora di abbracciarla come moglie, alleata e collega.
Gesto anticipato con l’elenco di tutti i registi, non solo gli amici, ma di chi ha deciso di lavorare con lui (ovviamente, mi aspettavo, e non sono stato disatteso, il ringraziamento a Troisi: sa che gli deve tanto e, infatti, non smette mai di portarselo dietro. Non è mica poco. Credete lo facciano tutti?).
Scegliere ed essere scelti.
Dare spazio ai talenti. Avere accoglienza nel talento degli altri. Secondo voi è poco?
Quello che più invece mi ha lasciato intristito, proprio per quel che fu l’incendiario Benigni, sono stati i lunghi ringraziamenti pieni di saliva, giubilo ed endorsement alle istituzioni quando, forse (ma per carità ognuno fa quello che vuole), proprio da lui, almeno io, mi sarei aspettato una qualche ironia sulla “netflix italiana”, sui cinema chiusi, i teatri in fallimento, sul perché l’arte in Italia fa fatica, perché ancora non ci sono scuole di cinema statali, perché la storia dell’arte è sempre meno considerata e tanto tanto altro.
Ma era il suo momento di gioia, il momento dei ringraziamenti.
Grazia, graziella e grazie…
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