La trasmissione aveva fatto questo speciale sul campione ed io ero stato invitato come esperto di antropologia umanoide, cioè uno scienziato che ne sa tanto di cretini che passano per intellettuali.

Sapevano tanto di me, ma non avevano capito niente dei miei studi.

Insomma, c’era stata questa diretta sul funerale al campione, in cui tutti erano gli uni sopra gli altri e con fiaccolate e cori si ammischiavano sani sani.

Una volta rientrati in studio il conduttore, tosto tosto nella gola, aveva moralizzato su questi e quelli e poi, guardandomi, mentre già fremevo in culo e nell’anima, mi aveva fatto

«va bene il campione, ma ricordiamo a casa che la droga fa male».

Mi era già salito un sorriso alle tempie, quel tanto che ti fa piegare il sopracciglio, e mi erano tornate in mente le parole di un addetto RAI: «il conduttore è quello dell’altra volta. È sempre un po’ stronzo, però paghiamo bene».

L’ultima volta me ne ero uscito dallo studio senza salutare. Due ore a parlare di un omicidio senza che nessuno dicesse del contesto, dei disagi e delle assenze dello stato.

In televisione non ci sto bene, nemmeno la vedo mai.
Però il lavoro è lavoro e dopo la chiusura del dipartimento facevo fatica a cacciare la testa fuori dal portafoglio vuoto.
Avevo iniziato a frequentare alcune case in cui spesso c’erano conduttori, soubrette e simili. Avevano iniziato a invitarmi dopo la lettera che scrissi tempo prima contro quel critico d’arte che in TV faceva sempre un casino esagerato ma mai parlava d’arte senza il sangue negli occhi.

«l’hai stutato un po’» mi aveva detto quella Barbara di cui sapete e che sembra sempre amica di tutti.

Ora, era già un po’ che il conduttore bucchineleggiava su questo e quello, i vizi e cazzi di un uomo che aveva scritto poesia e felicità.

Dopo un’introduzione che mi sembrava essere durata ore per quanto fosse il massimo dei luoghi comuni impossibili da ascoltare finalmente mi aveva dato parola, invitandomi a moraleggiare altrettanto a casa, di questo e quello.

«beh, vedi, credo in una cosa. La morale possiamo farla ed io sono convinto che la droga sia una cosa orrenda. Però – e al mio però il conduttore venne colto da una splendida paralisi che mi terrò nel taschino destro dei ricordi belli – è inutile che facciamo i cristiani abbonati alla Chiesa giusta. Il mondo dello spettacolo è pieno di gente che tira. E voi sapete bene – guardai la telecamera rivolgendomi agli spettatori, col conduttore che tremava sano sano ma nemmeno poteva interrompermi, altrimenti gli avrei fatto il culo sui giornali e sui social dove ero ormai una divinità – chi si è fatto il naso d’argento perché consumato dalla cocaina. Sapete bene chi tira e chi no. Sapete tutto, voi. La droga fa male e qui in TV tutti ve lo diranno. Ma nessuno vi dirà che si proteggono tra loro. Saprete di Tizio ma non di Caio che ha gli amici al giornale e in procura. E se vi acchiappano, ti isolano tutti quanti. Ti lasciano solo. La tv è un luogo di merda. Più di qualsiasi vicolo che puzza di piscio e vino andato in aceto. State attenti alla droga. Mi raccomando. Ma se potete, state lontani dal mondo dello spettacolo. È tutta gente ipocrita. Anzi, spegnete adesso sta televisione e andate a farvi un giro fuori al mare, in montagna. Aprite un libro. Che qua non c’è roba per voi. Ecco, questo è quello che penso».

Mi ero alzato e me ne ero andato.
Di nuovo, come l’altra volta.
Ma ora prima della réclame e prima di venire zittito.

Dovevo sfogarmi e l’avevo fatto.
Non per il campione, che è già di fianco al padre, ma per la buona crianza che manca sempre quaggiù tra gli stronzi.

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