Quando Charles Bukowski si disse nazista lo fece in un clima in cui il tedesco, in generale, veniva visto come male assoluto.

“[…] Quindi non ero nazista per carattere o per scelta; erano gli insegnanti, ad appiccicarmi addosso quell’etichetta, con il loro atteggiamento conformista, le loro idee conformiste e i loro pregiudizi antitedeschi”.

Era un ragazzino e mal sopportava l’idea che si potesse ricondurre le colpe di uno stato a tutto il suo popolo, gettando ombre anche su chi ne era fuggito, su chi si era schierato apertamente contro Hitler.

In guerra o in stato di guerra, o in condizione di influenzare l’opinione pubblica sulle scelte politiche più crudeli, costringenti, limitanti, come l’interventsmo in una guerra, la propaganda ha come primo scopo l’appiattimento delle opinioni, il livellamento della discussione, mettendo la linea separatoria “o totalmente con noi, o siete col nemico”.

Il dubbio non è permesso.

E allora, come sempre, mi faccio aiutare dalle parole, dal racconto millenario che c’è dentro ogni etimo: Pasqua, prima di stazionare nel greco pascha è partito dall’aramaico pasah, ovvero passare oltre.

Passare oltre, valicare i limiti, i propri limiti, le proprie paure, convinzioni, ridicoli ostacoli, mettersi spaparanzato nell’immensità, dentro la pace assoluta dei sensi, in uno scambio di mani senza limiti di rughe, colori, ferite, senza guardare che bandiera o fede stringe.

Pace deriva da pangere, fissare, pattuire, sa di trattato, sa di convenzione scardinabile al primo muro nella mente, al primo limite.

Sarà retorico e banalizzante, riduttivo e semplificato, che tu sia laico, credente di qualsiasi fede, ateo, è questo che auguro a tutti noi, una felice ed eterna Pasqua.

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